Si arriva al campo volo dove brulicano fin dal primo mattino le attività, controlli, preparazione dei paracadute, verifiche dei materiali e dell’aereo, uno splendido Pilatus P6, che può trasportare 10 paracadutisti e il pilota. Dopo l’accoglienza iniziamo con le spiegazioni di base e la formazione preliminare sulle varie fasi del volo.

Ma la formazione tecnica renderebbe il lancio solo un’esperienza adrenalinica e null’altro. 
Siamo arrivati in gruppo, abbiamo studiato assieme per un anno alla ricerca di nuove idee, di nuove nozioni e nuove esperienze. Ora siamo qui, ancora in gruppo, a condividere qualcosa che pochi comunque sono in grado di affrontare e forse, capire. Chi siamo se non cerchiamo costantemente i nostri limiti? Se non ci mettiamo alla prova per sconfiggere i nostri mostri?

Il Generale Zago è un veterano, appassionato dei lanci, ma anche un grande motivatore. Ci riunisce a più riprese entrando in sintonia con le nostre emozioni e toccando le corde giuste per condurci a trasformare l’esperienza in qualcosa che possa aiutarci anche in una trasformazione interiore a cui quell’esperienza possa contribuire a un livello superiore.

In molte culture le persone si affidano o vengono affidate a un animale totemico, se siamo lì in quel momento, per noi quell’animale è sicuramente l’aquila, uno dei simboli atavicamente più importanti di elevazione nel regno animale. E ognuno di noi ha un valido motivo personale per cercare la guida della propria aquila.     

Veniamo chiamati alla falsa carlinga per la preparazione al lancio, provandone le procedure prima di salire sull’aereo che ci porterà a oltre 4000 metri. Indossiamo le tute da lancio e pur scherzando e ridendo, dentro noi la tensione sale. Le foto di rito e poi si sale in aereo e in un istante stiamo prendendo quota.

Per i primi minuti a bordo si scherza e si osserva il panorama, poi c’è il ripasso rigoroso delle procedure fondamentali del lancio, l’istruttore controlla ripetutamente gli agganci all’imbrago e programma le uscite con gli altri paracadutisti.

È tutto pronto, siamo in quota, si apre il portellone. Riti di saluto prima del lancio. Non c’è tempo per pensare, i primi istanti di posizionamento sul bordo del portellone appaiono caotici, accelerati all’infinito, non è chiaro nella mente cosa si sta facendo. Poi il segnale e siamo nell’aria per il nostro primo lancio.

Lo spazio tempo cambia. Poche frazioni di secondo per assumere la posizione di caduta libera. La velocità raggiunge in poco tempo i duecento chilometri orari.  L’aria gelida sferza con decisione il viso e le mani, si fa quasi fatica a respirare. Il poco tempo di abituarsi a quella strana sensazione, rispondere ai segnali visivi del videoman, che ci vola davanti a pochi cm e nuovamente tutto cambia. 
Uno strappo improvviso apre il paracadute e immediatamente ci si ritrova a librare nell’aria nel silenzio quasi assoluto.
Il tempo scorre nuovamente alla sua velocità naturale, si comprende che ormai abbiamo fatto il primo salto interiore. Si comincia a veleggiare e ci si gode il panorama, sotto attento controllo l’istruttore ti fa provare a direzionare la vela. Poi allarghi l’orizzonte, il mondo è diverso e meraviglioso, le nuvole, il sole, e finalmente vedi la tua aquila interiore e comprendi cosa voleva da noi il Generale.

Pochi secondi ancora e si viene richiamati alla procedura di atterraggio, la più delicata. Poche manovre e la terra ti riabbraccia. Tutto alla fine dura pochissimi minuti, ti viene subito voglia di risalire, abbracci di condivisione, momenti indimenticabili.